lunedì 23 maggio 2016

RECENSIONE DEL ROMANZO “DUE DI DUE” DI ANDREA DE CARLO

“Due di due” è un romanzo di Andrea De Carlo, rinomato scrittore milanese: un classico
contemporaneo noto fra i romanzi di formazione,  che racconta della longeva amicizia tra Mario, la voce narrante, e Guido Laremi. I due si incontrano per caso un giorno di novembre fuori scuola, all’inizio del quinto ginnasio, da lì ha inizio un’amicizia che si sviluppa negli anni Sessanta e perdura nei Settanta, tra manifestazioni studentesche, amori, viaggi, delusioni, incertezze. Diversi tra essi quanto analoghi, accomunati dalla loro natura instabile, precaria, tanto da farli stare ad assistere al corso delle loro vite da spettatori. Entrambi disgustati dalla città in cui vivono, dall’artificiosità di questa, in un misto di sdegno e rassegnazione contro il mondo e se stessi. Mario riesce a rompere il vetro, trovare un equilibrio lontano da Milano, a Perugia, a  mettere su famiglia, a ritagliarsi una porzione di mondo fuori dal mondo. Guido continua a vagare per il mondo, senza ambizioni, senza riuscire a dare un senso alla propria esistenza; di punto in bianco interrompe i contatti con Mario per mesi interi, per ristabilirli più tardi con lettere o telefonate, a volte assidue, altre rade, per poi precipitare in una depressione sempre più profonda, alimentata da droghe e rapporti temporanei, senza che questi ne fossero la causa. Spinto dal suo animo inquieto e nel contempo fragile, comincia a scrivere: una scrittura nella quale riversa tutta la sua anima e indifferenza. Per qualche tempo riesce a formare anch’egli una famiglia, stringere una qualche felicità che ben presto gli sfugge come sabbia tra le mani, consapevole della sua inconsapevolezza, di tutto ciò che non aveva, o non aveva mai avuto. Mario ancora cerca di stargli accanto, sapendo di poter fare ormai ben poco, o addirittura niente.
Un giorno viene ritrovato morto in quella che era stata la sua auto, schiantata contro un palo della periferia di Milano. Così il suo desiderio di contentezza era stato all’origine della sua sofferenza, la stessa che lo aveva spinto ad un gesto tanto estremo.
“Due di due” non è un semplice romanzo, ma uno di quei romanzi capace di  far mettere in discussione se stessi. Mentre leggevo mi immedesimavo in Mario, poi in Guido, e  mi tormentava il pensiero che la mia vita sarebbe potuta andare omologamente; pensavo alla mia precarietà da abbozzo di adolescente, alle mie affermazioni sul futuro, pronunciate con un tono ancora troppo incerto. A volte venivo presa dallo sconforto, una depressione troppo contagiosa e forse fondata per fermarsi ad un foglio, persino la noia generale sembrava raggiungermi e attraversarmi. Mi arrestavo, così, a pensare, o anche solo a fissare il vuoto, poi riprendevo, un po’ più mancante di prima. La figura di Guido mi prendeva a tal punto, le sue emozioni intense, seppur negative: finivo sempre con paragonarlo a Mario, la sua stabilità rassicurante. Credo capiti a tutti, delle volte, di soffermarsi a riflettere sulla propria esistenza, sul proprio futuro, sul mondo, e ritrovarsi con un senso di vuoto e impotenza, forse anche insofferenza. Capita di sprofondare nell’oblio, senza più riuscire a comprendere l’utilità di ciò che ci circonda, soffermarsi e constatare che non stiamo sognando, che siamo vivi e che lo siamo per davvero. Nella parte finale era racchiusa l’ essenza dell’ intero libro: la seconda casa, vuota, fredda, rappresentava Guido, il posto in cui tutti lo aspettavano e,  adesso che egli era venuto a mancare, anche questa non aveva più motivo di esistere. Darle fuoco significava ravvivarla, come la personalità di Guido, quasi a gratificarlo, a fargli sentire quanto  fosse stata importante, e quanto ancora lo fosse; adesso faceva un certo effetto ammirare quel che era rimasto de “Le due case”. Una riflessione mi ha colpita particolarmente di Mario: «Pensavo a quanto le nostre vite erano state diverse in questi anni, e anche simili in fondo, due di due possibili percorsi iniziati dallo stesso bivio».

Nikla Nobis

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