martedì 25 marzo 2014

"La Città della Gioia": uno spaccato di vita.

Nel 1985 fa la sua comparsa  nelle librerie di tutto il modo, dopo una lunga trattativa con le case editrici che non appoggiavano il progetto, “la Città della Gioia”, libro scritto da Dominique Lapierre,scrittore e giornalista ,dopo tre lunghi anni di permanenza in una bidonville di Calcutta in India.
Lapierre rimase profondamente scosso da quest’esperienza che decise di documentarla e così, da quest’idea, nasce “La Città della Gioia”. Il romanzo diventa ben presto fenomeno editoriale-vendendo più di 3milioni copie nel mondo-coinvolgendo ed appassionando milioni di lettori.
Molti, leggendo i primi capitoli, si chiederanno:”perché questo libro ,così’ triste e tedioso, ha avuto tanto successo?”
La risposta a questa domanda non è semplice.
La “Città della Gioia” non è un romanzo d’avventura  né un thriller né tantomeno un harmony, non è neanche un libro sulle condizioni di vita dell’ India,come dice lo stesso Lapierre: “è una lunga ed estenuante testimonianza di vita ed esperienza vera, dell’esistenza troppo spesso ignorata, di persone che vivono, o meglio, cercano di sopravvivere ogni giorno nelle  bidonville di Calcutta dove persino la morte prematura è così  frequentemente cosa quotidiana , da risultare persino banale.”
Comprendere    questo libro nelle sue mille sfaccettature è cosa complicata. Molti lettori giovani potrebbero essere annoiati dalla storia, perché si può quasi dire che il libro sia privo di trama, ma io sono convinta che non si può leggere questo romanzo senza che ti lasci qualcosa.
Io sono rimasta profondamente  colpita da questo libro. Nella storia i tre protagonisti in rilievo sono:
-Hasari Pal, contadino indiano che lascia il suo pacifico villaggio per rifugiarsi nella frenetica Calcutta in seguito ad una serie di cattivi raccolti;
-Paul Lambert, sacerdote francese, che decide di dedicare la propria vita ai poveri;
-Max Loeb, giovane medico americano, che risponde ad una lettera d’appello di Paul Lambert e si reca al servizio della miseria proprio nella bidonville di Anand Nagar, nome che significa letteralmente “La Città della Gioia”, dove la miseria e la degradazione sono devastanti.
Gli “inquilini” vivono in condizioni pessime, senza acqua e senza latrine, in un posto in cui una semplice pioggerella può provocare un’ inondazione.
Lapierre, dando il nome “città della gioia” alla bidonville, fa  una scelta diretta... quasi ironica.
Molti si chiederanno:”come può essere definita gioiosa una simile landa di morte?”
La riposta a questa domanda è la ragione che ha appassionato e commosso migliaia di lettori,perché nella Città della Gioia, nella povertà più totale c’è sempre  quella luce che tutti conosciamo e che non ci abbandona mai: la speranza.
Perché senza speranza non saremmo uomini. Dovremmo comportarci tutti come Hasari Pal che, anche in uno dei periodi più tristi di convivenza nello Slum,  arrivando persino a vendere il sangue e ad impegnare il suo corpo dopo la morte per la famiglia, non perse mai la speranza, anzi!
Paul Lambert  in una delle sua prime celebrazioni eucaristiche nello slum disse ai volti raggianti che lo osservavano sotto al suo altare improvvisato:”Voi siete la luce del mondo”, questa frase racchiude in sé tutto il significato generale del libro, perché in quel povero, misero covo di degrado, le luci della anime dei lebbrosi, del malati e dei bambini non smettevano mai di brillar, e così, saranno sempre vive, quasi a sfidare il  consumistico mondo odierno, quasi a sfidarlo, a chiedergli:”anche da povero io sono felice, tu nella tua ricchezza perché non riesci ad esserlo?”
E come dimenticare e non pensare ai bambini, vittime della denutrizione e della malattia, che con il loro sorriso sincero-che ci accompagna per tutta la durata della lettura del libro- riescono a sorprendere sempre, ridendo anche di fronte ad una morte certa, per fame.
Come disse ancora una volta Lambert:”Il mio miracolo aveva il volto di una bambina vestita di bianco, con un fiore rosso tra i capelli, che camminava come una regina in mezzo a tutta quella merda”.
C’è un’altra frase che rappresenta bene gli inquilini della Città della Gioia (i veri protagonisti della storia) ed è :” Le avversità sono grandi , ma l’uomo è più grande delle avversità”. Ed è questo  che hanno fatto i cittadini della Città della gioia, hanno saputo riemergere ancora, ancora e ancora dalle difficoltà.
E come parlare di Calcutta, senza nominare madre Teresa, la dolce,piccola,grande suora che con il suo grande amore e la sua fede, ha fatto di tutto per migliorare la vita nella città ed in India, ed è riuscita  col suo cuore a riportare il sorriso anche sui volti più sfigurati dalla malattia.
Madre Teresa fu anche mentore e superiore di Lambert, che col suo aiuto riuscì a fondare un lebbrosario nello slum salvando così da morte certa migliaia di persone.
Max Loeb dopo qualche anno trascorso come medico ad Anand Nagar, tornò in America ma affermò che:”l’esperienza in uno slum  indiano è l’avventura più eccezionale che potesse vivere un uomo nel 2000”. Quel soggiorno trasformò completamente la vita di Max,che ancora oggi, insieme alla moglie Sylvia gestisce un’associazione a favore dei poveri degli slum  indiani.
Per quanto mi riguarda, questo libro mi ha lasciato molto, mi ha scosso e cambiato profondamente, ha modificato il mio modo di pensare.
E ora so che quando starò per soffermarmi su insulse forme di autocommiserazione richiamerò alla mente i sorrisi sinceri dei volti della Città della gioia, per ribadirmi di tornare a sperare e per ricordare che c’è sempre chi al mondo sta peggio di me, ma che non perde la speranza e riesce ad utilizzare il sorriso come arma, contro ogni cosa.
Prenderò esempio dai cittadini dello slum che nei momenti più critici non hanno mai smesso di vivere.
Dopo il successo del libro, che col suo messaggio di amore e speranza nelle più estreme condizioni ha scosso l’anima di migliaia di persone, la casella postale di Dominique Lapierre è stata inondata di lettere dei fan e donazioni provenienti da ogni parte del mondo con le quali Lapierre ha fondato, insieme al ricavato della vendita del romanzo, un’associazione che si occupa di bambini  malnutriti e dei malati che vivono nei sobborghi di Calcutta.

In conclusione il vero, sincero messaggio del libro è la speranza, che viene dall’ amore che  non ha bisogno di condizioni particolari per esistere. Alimenta  il coraggio di non arrendersi e di risorgere dalle avversità e a mio parere ognuno di noi ha il diritto e il dovere di donare un po’ di felicità a chicchessia, proprio come hanno fatto e continuano a fare gli abitanti di Anand nagar.

Castaldo Fabiola


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