giovedì 19 maggio 2016

Il cacciatore di aquiloni

“Sono diventato la persona che sono oggi all’età di dodici anni, in una gelida giornata invernale del 1975”.
Questa, la frase che dà inizio ad una delle storie più belle mai scritte. Queste, le parole con cui Amir ha deciso di iniziare il racconto della sua vita. Queste, le lettere attraverso le quali Khaled Hosseini, scrittore e medico, ha riversato una parte di sé nel protagonista della sua storia.
Amir, un ragazzo Pashtun, vive la sua infanzia a Kabul insieme con Hassan, un Hazara, figlio di un domestico. Amir non l’ha mai considerato un vero e proprio amico, eppure i due hanno avuto la stessa balia e passato intere giornate a giocare insieme. Leggono oppure fanno volare gli aquiloni. A Kabul ogni anno si svolge un torneo di aquiloni, in cui lo scopo è far sì che il proprio aquilone, tagliando gli altri, rimanga l’unico a volare. L’ultimo aquilone ad essere tagliato è il trofeo più importante per i cacciatori di aquiloni, ragazzi che si fiondano per le strade alla ricerca degli aquiloni appena caduti. Hassan è un abilissimo cacciatore, così, quando Amir vince finalmente il torneo, egli si offre di recuperare l’ultimo aquilone per l’amico. “Per te questo ed altro”, dice.
Amir spera così di riallacciare i rapporti con Baba, suo padre, che sembra voler bene più ad Hassan che a lui, cosa che il ragazzo spiega con il fatto che sua madre sia morta di parto a causa sua. Hassan però viene fermato da tre bulli, con a capo Assef, che giorni prima aveva minacciato per proteggere Amir. Questi lo violentano; Amir vede tutto, però resta paralizzato non solo dalla paura di essere picchiato, ma soprattutto dal timore di perdere l’aquilone, col quale voleva riconquistare la fiducia di suo padre. Dopo questo episodio i rapporti tra Amir e Hassan si sciolgono inesorabilmente, anche se l’Hazara continua ad ammirare il suo compagno d’infanzia. Lui e suo padre Ali vanno via dalla casa di Baba e poco dopo sono gli stessi Amir e suo padre a dover scappare via dall’Afghanistan, a causa della guerra. Vanno in America, dove Baba si ammala di cancro mentre Amir sposa Soraya, figlia di un ex-generale afghano. Anni dopo egli riceve una telefonata da Rahim Khan, amico di Baba, che gli dice di tornare in Afghanistan. “Esiste un modo per tornare ad essere buoni”. Rahim sapeva tutto, aveva raccolto la confidenza di Hassan e ora vuole aiutare Amir. Gli dice che Hassan si era sposato e aveva avuto un figlio, che lui e la moglie sono morti mentre il figlio, Sohrab, è in un orfanotrofio. Gli dice inoltre che Hassan è in realtà figlio di Baba e della moglie di Ali, quest’ultimo morto per una mina. Amir va a cercare Sohrab, che è stato preso da un talebano, lo stesso Assef che anni prima aveva violentato il padre. Questi vuole vendicarsi anche di Amir e lo riduce in fin di vita, ma Sohrab lo colpisce con la sua fionda, salvando lo zio. Amir parla con Soraya, con la quale non era riuscito ad avere figli, e insieme decidono di adottare Sohrab. Tuttavia l’unica soluzione possibile sembra comportare la permanenza del bambino in un orfanotrofio per qualche tempo, ma Sohrab, al quale Amir aveva promesso che non sarebbe più andato in orfanotrofio, tenta il suicidio procurandosi profondi tagli ai polsi. Amir trova un’altra soluzione per portarlo con sé in America, ma ormai il bambino sembra aver perso la voglia di vivere. Fin quando un esile sorriso non illumina finalmente il suo volto. Ho letto “Il cacciatore di aquiloni” tutto d’un fiato, quasi non potessi fare a meno di arrivare alla fine. All’inizio tutto scorre lento, nella monotonia dell’infanzia, nei bei ricordi che il protagonista vive col suo amico Hassan. Ma poi accade un episodio che cambia tutta l’atmosfera creatasi fino ad allora, un episodio che muta radicalmente la vita di Amir. Ed è come se uno specchio si rompesse; come se l’illusione di felicità presentataci fosse stata appena infranta; e dopo tutto diventa più veloce.
Ora anche il lettore, attraverso il protagonista, riesce a percepire l’essenza del tradimento e del terribile rimorso che accompagna per sempre un animo puro. Noi ci sentiamo colpevoli insieme ad Amir, consapevoli con lui di aver tradito un amico. Insieme a lui proviamo a farci una nuova vita, cercando di lasciarci il passato alle spalle, ma, si sa, il passato ritorna sempre. È buffo pensare che alla fine proprio questo ritorno sia stato la causa di redenzione per Amir. Lui, che è sempre stato un vigliacco, consapevole di esserlo, alla fine capisce che per liberarsi dalla sua colpa deve fare quello che mai avrebbe creduto di poter  fare: avere coraggio. E con quel nuovo coraggio riesce ad affrontare Assef, facendo quello che avrebbe dovuto fare anche quel giorno d’inverno a Kabul. Non prova a difendersi dai pugni, dai calci; ad un certo punto smette persino di provare dolore.
E ride.
Ride, perché ha capito di fare la cosa giusta. Ride, perché ora si sente sollevato dal rimorso, perché ora è libero da quella colpa che non aveva mai confessato.
Nella vita di Amir c’è anche un po’ dell’autore. Anche Khaled Hosseini era un Pashtun che viveva a Kabul; anche lui, come Amir, aveva un amico Hazara; anche lui è fuggito dala guerra; anche lui, alla fine, torna a visitare la casa del padre. Non pensavo che questo libro, alla fine, mi sarebbe piaciuto così tanto. Ma ora lo consiglierei vivamente.

“Mi sedetti contro un muro della casa. Mi stupii di scoprire dentro di me un attaccamento così profondo alla mia terra. Era passato molto tempo, quanto bastava per dimenticare ed essere dimenticati. Nel paese in cui vivevo adesso, la mia terra sembrava appartenere ad un’altra galassia. Pensavo di averla dimenticata. Ma non era così. E nel chiarore biancastro della luna sentivo sotto i miei piedi la voce dell’Afghanistan. Forse neppure l’Afghanistan mi aveva dimenticato.”

Alessandra Iorio

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