giovedì 2 marzo 2023

Il Segrè incontra Claudia Finzi Orvieto, testimone delle persecuzioni antisemite


Oggi, il 01/02/2023, gli studenti del Liceo Scientifico Statale E.G.Segrè hanno avuto il privilegio di incontrare personalmente e ascoltare la storia della prof.ssa Claudia Finzi Orvieto, testimone delle persecuzioni antisemite. L’incontro è stato reso possibile, come specificato dalla preside del Liceo, la prof.ssa Rosa Lastoria, nella presentazione degli ospiti, grazie al dott. Carlo Maria Palmiero ,presidente della Camera civile di Aversa e al dott. Alfredo Di Franco e alla dott.ssa Iolanda Iavazzo, entrambi avvocati. “È un onore per me sedere accanto a una donna come la signora Finzi Orvieto, la cui testimonianza di quegli aberranti eventi che hanno caratterizzato il capitolo più oscuro della nostra storia sarà fondamentale affinché non si dimentichi”: così ha esordito La dott.ssa Iavazzo, affermazione con cui il pubblico, già commosso, non ha potuto far altro che concordare. Non tutti infatti sarebbero disposti a rivivere un passato tanto oscuro, che ha lasciato così tanti segni indelebili nell’anima e ha portato via così tante vite di persone amate, ma la signora Finzi Orvieto non si è persa d’animo: all’età di ben ottantatré anni è salita su un treno e  da Roma, è giunta qui a San Cipriano per offrire se stessa, le sue parole, la sua storia all’ascolto di professori e studenti dagli occhi lucidi, il tutto in nome della memoria. Nata a Bologna il 9 giugno del 1940 (data anch’essa triste, come sostiene la signora Finzi Orvieto, in quanto il giorno seguente Mussolini avrebbe dichiarato guerra all’Inghilterra e alla Francia),ha raccontato di come sul suo atto di nascita fosse specificato “è nata una bambina di razza ebraica”, come previsto dalle leggi razziali, già largamente in vigore, e che già mietevano le prime ingiustizie : “i miei zii di Trieste partirono per la Palestina, sotto il protettorato inglese, un Paese arretrato e povero all’epoca, in quanto non accettavano di vivere in un paese dove i loro figli non avrebbero potuto studiare”; “mia madre nel ‘39 si laureò in lettere col minimo dei voti, nonostante avesse una media molto alta, e una tesi cambiata all’ultimo perché il suo professore era stato licenziatola stiparono in un angolo insieme ad un altra ragazza ebrea come fosse appestata e fu interrogata per ultima;il voto fu l’ultima delle umiliazioni”.Leggi accettate all’unanimità, con indifferenza in quanto gli ebrei in italia erano pochi (circa 40000 con le più importanti comunità a Roma, Milano e Trieste) e perfettamente integrati :”mio nonno era un ufficiale dell’artiglieria dell’esercito italiano, ma a poco gli servì quando fu deportato ad Auschwitz, dove morì” ;“c’erano anche alcuni ebrei fascisti e per loro il trauma delle leggi razziali fu maggiore: erano stati traditi da quello in cui loro stessi credevano”. Ha riferito che circa gli eventi tra il ‘42 e il ‘43, durante i quali lei era troppo piccola perché ora possa ricordare, gli è venuto in soccorso un disco: registrato dal padre attraverso una radio da lui costruita, in esso la madre raccontava degli amici che venivano imprigionati, anche personaggi famosi (Mario Finzi, magistrato che si occupò di aiutare gli Ebrei a scappare poi deportato ad Auschwitz; l’avvocato Alessandro Volterra e il padre il grande matematico Vito Volterra...). Ha rievocato  il momentaneo sospiro di sollievo tratto il 25 luglio del ‘43 dopo la caduta del fascismo; il terrore del padre alla vista dei soldati tedeschi, dopo l’invasione di quello stesso settembre, dopo l’armistizio con gli Alleati, forse perché, nato nel 1907, vide la devastazione dopo la disfatta di Caporetto; il terrore che giunse in tempo, in quanto portò la famiglia a partire per una piccola città vicina lo stesso 20 settembre scampando così per un pelo, per la prima volta, alla deportazione (“nella mia storia più volte ci siamo salvati solo grazie alla fortuna”). Dal diario tenuto dalla madre, la signora Finzi Orvieto con voce rotta dall’emozione lesse di come si erano procurati i documenti falsi :”i miei genitori sono stati costretti a cambiare i loro connotati, i loro nomi anche, in quanto doveva essere credibile che fossimo siciliani. Eravamo stati attenti anche a far coincidere le iniziali dei nuovi nomi con quelle riportate sulla biancheria, avevamo prestato estrema attenzione a dettagli cui normalmente non ci si farebbe caso”.Racconta di come erano venuti a sapere, il 20 novembre, della deportazione del nonno, della frustrazione data dalla consapevolezza che non avrebbero potuto far niente se non peggiorare la situazione per la famiglia venendo deportati loro stessi(“lui era uno di quelli che la pensava -perché dovrebbero prendermi, non ho fatto nulla di male-” “i fascisti avevano ucciso un federale accusato di essere troppo buono con gli Ebrei e avevano accusato dell’omicidio gli antifascisti e gli ebrei stessi: undici persone furono imprigionate e alcune di queste fucilate in piazza, le altre deportate. tra queste c’era mio nonno che entrato ad Auschwitz non n’è più uscito”). Narra di come nella loro nuova casa giunsero alcuni familiari :”arrivarono anche alcuni parenti, alcuni zii di mio padre e una zia di mia madre anche lei di Vienna. Io e mia 

sorella, che avevamo tre e cinque anni, non capivamo perchè lei fosse muta per gli estranei ma a casa parlava eccome. Solo in seguito abbiamo realizzato che se avesse aperto bocca, col suo italiano stentato, avrebbe mandato all’aria la copertura”;di come abbiano aiutato il più possibile i partigiani e chi ne aveva bisogno “aiutarono due ragazzi che fuggivano dicendo ai fascisti che fossero lontani cugini che stavano tornando a casa”;”salvarono il parroco della cittadina che stava per essere ucciso dai partigiani in quanto sospettato di essere di simpatie fasciste”;”crearono una scuola dove mia madre, laureata in lettere, insegnava per quanto possibile le materie umanistiche, mio padre invece le materie scientifiche, essendo ingegnere” “mia madre, parlando tedesco aiutava i contadini ad effettuare gli scambi coi soldati”e se fossero poi stati aiutati loro stessi (“le due ragazze spiegarono a mia madre che rivelare di essere un’interprete era il modo migliore per ottenere un biglietto di sola andata per la Germania. Le dissero di dar loro il documento così che non sarebbe giunto al comando. Mia madre era convinta fino alla fine che l’avessero mangiato”;”il comune aveva emanato una disposizione affinché fossero controllati i documenti. Se i nostri fossero arrivati al comune saremmo stati scoperti, quindi i partigiani organizzarono una notte una sortita a casa nostra, in modo da poter rubare i documenti così che non avremmo dovuto presentarli”. Infine rievoca il costante terrore di essere scoperti che li ha costretti a spostarsi nuovamente quando lo scontro si fece più acceso, accettando di vivere in una stalla (“io e mia sorella dormivamo in una mangiatoia”). Tra le lacrime commosse dei ragazzi che hanno ascoltato attoniti una storia tanto incredibile dall’inizio alla fine, la signora Finzi Orvieto si ritiene fortunata, non solo poi per come ha vissuto il dopoguerra: “Bologna era stata una città più civile di tante altre. Basti pensare a Roma, dove la comunità ebraica era in condizioni critiche sia dal punto di vista economico che sociale, tornando alla normalità dopo parecchio tempo”;ma anche perché i genitori avevano fatto un ottimo lavoro nel nasconderle la vera portata del conflitto.Con voce gentile e il cuore aperto ha accolto e risposto alle tante domande postegli dagli studenti e non ha potuto nascondere le lacrime di commozione alla recita della meravigliosa poesia scritta da Di Meo Antonella, alunna della IVz, che poi le fu donata insieme ad una Targa realizzata dai docenti, compenso quasi per ripagare il grande sforzo da lei compiuto oggi, e la lezione, che va ben oltre ciò che si apprende nelle scuole, che ha permesso a ragazzi e docenti di apprendere. L’incontro si è poi concluso con l’intervento del presidente Palmiero che, ricollegandosi all’iniziale intervento dell’avvocato di Franco, sottolinea la necessità di parlare di tali argomenti nelle scuole in modo che i giovani, nelle cui mani è posto il futuro “rubino quante più competenze e esperienze utili a vivere in maniera attiva nella società, affinché non si creino più le premesse perché si verifichino eventi del genere. Ognuno di noi crede che il dramma dell’altro appartenga solo all’altro”. Per fare ciò, è necessario combattere il razzismo con ogni mezzo possibile: al di là dell’ebreo, al di là del nero, ci sono individui esattamente come noi appartententi alla “razza umana”, che in quanto tali sono degne di rispetto: è necessario rendersi conto che al di là dei numeri delle vittime di Auschwitz, al di là dei numeri delle vittime delle traversate, ci sono persone.

Maria Teresa Palmese, IV Z



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