venerdì 1 dicembre 2017

Sarà l’Aurora …



Mi hanno sempre detto che tutti nella vita abbiamo un compito, che tutti apparteniamo a un luogo, a qualcuno, che a tutti, almeno per un istante, spetta quell'attimo di felicità e tu, mio grande amore, eri tu il mio attimo eterno di felicità. Sei entrato nella mia vita come se nulla fosse e, con totale disinvoltura, ti sei impadronito del mio mondo, hai preso tutto quello che era sempre stato solo mio e l'hai cambiato, creando un nostro pianeta, semplice, unico e perfetto. Mi toccavi come se fossi di porcellana e mi guardavi come se fossi la creatura più bella che avessi mai visto; e poi? Cos'è cambiato? Dimmelo tu. Cercavo continuamente di dare una spiegazione a quello che stava succedendo, incolpando me stessa, nascondendo lividi, cicatrici e dolore. D'un tratto, il mio paradiso era diventato l'inferno peggiore che potessi mai immaginare: le carezze diventavano schiaffi, i fiori diventavano fruste, i baci diventavano pugni, tu diventavi un mostro. Parlavo con mia madre, parlavo con le mie sorelle, le mie zie, mia nonna e tutti sapevano dirmi solo: «È tuo marito, non farlo arrabbiare». Ero davvero io il problema? Non so, ma ho trascorso due anni della mia vita ad accusarmi di qualcosa di inesistente, fin quando ho scoperto di avere una speranza.

15 novembre 2017, ore 7:30
La caffettiera sui fornelli con il suo profumo mi sveglia e mi alzo dal letto. Entro in cucina, la tavola è imbandita con una gustosa colazione: cornetti caldi ai cinque cereali, come piacciono a me, marmellata ai frutti di bosco, latte caldo, pane con burro di arachidi e caffè poco zuccherato. Sa come viziarmi. Mi avvicino a lei e la invito a consumare la colazione con me. «Hai fatto tutto questo per me?». Mi risponde: «Lo meriti». Perché mi è così riconoscente, se salvare lei è stata, in realtà, la mia salvezza? Sono quattordici anni che aspetta di conoscere la verità ed è arrivato il momento di rivelargliela.
È il 31 dicembre 1999. Sono super eccitata: siamo arrivati in discoteca e non vedo l'ora di festeggiare il capodanno qui, con i miei amici. Ballo, canto e mi godo la mia spensieratezza. Mi avvicino al bancone per prendere una birra e noto subito un ragazzo dagli occhi chiari, sicuro di sé che guarda verso di me; mi giro per vedere se c'è qualcuno accanto a me: è impossibile che una presenza come la sua guardi proprio me. Prendo la mia birra e vado via, verso i miei amici, e, mentre mi avvicino a loro, mi sento prendere per il braccio da una mano forte, possente, che mi tira a sé. «Non evitare il mio sguardo, so che mi hai visto». Nonostante le luci spente, capisco che è lui. Alto molto più di me, lo guardo, lo scruto dal basso verso l'alto. Mi guarda e mi dice: «Vediamoci all'uscita, non riesco a parlarti con questo caos». Intanto i miei amici mi cercano, ma io decido di allontanarmi con lui. Si avvicina ad una Range Rover di colore nero, saliamo e mi porta a fare un giro. Il tempo passa velocemente e sono già le 02:30. Sono passati 30 minuti e siamo ancora in macchina e non capisco dove ci stiamo recando, finché non vedo il lungomare: mi ha portato a Mergellina. A cosa starà pensando? Una passeggiata romantica? Magari mano nella mano. Cerco di rimettere i piedi per terra. Scendiamo e facciamo una passeggiata: è così romantico e credo che il suo sia un colpo di fulmine. Non solo il suo. Dopo qualche ora passata a parlare, sono ormai le 5 e decido di farmi accompagnare a casa e lui, coperto da un manto di gentilezza, mi accompagna e mi saluta con un delicato bacio sulla guancia. Passo la notte a pensarci, mi ha chiesto il numero e mi ha detto che domani mi chiamerà. Decido di dormire per accorciare i tempi. Da lì, il tempo sembra essere volato fino al 30 dicembre 2001, il giorno più bello della mia vita: il nostro matrimonio. Il mio sogno si è realizzato: una casa in cui coltivare il nostro amore, la sua eccessiva dolcezza e riconoscenza nei miei confronti e la nostra passione. Tutto è, come si dice, rose e fiori: e ogni sera torna a casa dal lavoro con un regalo per me, che mi fa sentire viziata e amata ed io, per dimostrare la mia riconoscenza, faccio di tutto per farlo sentire “a casa”, ma so che, ciò che vuole lui, è molto di più e sono disposta a donarmi a lui, completamente. Pian piano questa situazione inizia a diventare un peso per me e, quindi, quando sono stanca, decido di rifiutarlo: lo sbaglio più grande della mia vita. Al primo rifiuto mi insulta e mi offende pesantemente: «Non sei nemmeno in grado di svolgere il tuo ruolo di moglie». Non do peso a queste parole perché so che sono dettate dalla rabbia e dalla stanchezza, quindi, vado a letto e cerco di dimenticare tutto. Il giorno seguente, torna a casa con la solita rosa per abbindolarmi, ma io, ancora delusa, mi rifiuto nuovamente. A queste mie parole, lui sembra non vederci più: mi afferra per i capelli, mi sbatte contro il muro e sento le ossa penetrare le mie carni, mi riempie di botte ed io sto lì, inerme, mentre lui mi picchia e mi dice che non sono buona a nulla. Finalmente la smette, mi lascia a terra come un animale mezzo morto e se ne va.
Non ricordo cosa sia successo nei giorni successivi, cosa io abbia fatto per scatenare nuovamente la sua furia e come mi ritrovo in ospedale. I medici mi parlano della mia situazione alquanto delicata: «Temiamo per la vostra incolumità». A cosa si riferiscono con “vostra”? Decido di chiedere spiegazioni e loro mi danno la notizia: aspetto un bambino. Sento che finalmente anche io su questa terra ho un compito, sento che finalmente qualcosa di bello sia arrivato: sei arrivata tu, piccola Auri, il mio miracolo.  Ora ti chiederai come sia finita, giusto? Ti chiederai come abbia fatto e perché oggi tu non conosca tuo padre, vero? Beh, sono scappata, sono andata via da lui, dalla mia casa, dal piccolo universo che avevo creato con le mie forze e la mia passione, e l'ho fatto per noi, per me e te, Auri. Vivevo con il terrore di camminare, parlare e respirare; sentivo come se, sulle mie spalle, ci fosse un enorme macigno che avrei dovuto sollevare per il resto della mia vita, da sola. Sentivo la mia anima che moriva, il mio cuore che si spezzava ed era come se anche l'aria intorno a me volesse a tutti i costi uccidermi; quella non era vita e non avrei mai permesso che tu a vivessi quell'orrore. Non si può vivere in un mondo, in cui le donne vengono screditate, umiliate, infangate, violentate, massacrate, uccise. È impensabile pensare che un uomo si senta in dovere di togliere la vita ad una donna come se fosse un oggetto, una cosa che ha comprato al mercato per pochi soldi e che può trattare come vuole, perché pensa che abbia poco valore e, una volta distrutta, la può sostituire con un'altra. È inaccettabile pensare ci sono donne al mondo a cui viene sottratta la libertà, a cui vengono tarpate le ali, che non possono dire la propria perché sono "femmine" e non hanno alcun diritto di parola, perché, non importa cosa dicono, ma sono considerate un danno. Non è concesso ad un uomo dire ad una donna di non essere utile alla società, o, peggio ancora, di essere "buona" solo a doverlo soddisfare sessualmente. Non esiste donna a cui un uomo debba dire di sottomettersi perché non ha indipendenza economica. Non è concepibile l'idea che una donna sia la colpevole di una violenza o che meriti un'azione simile: LA COLPA NON È MAI DELLA VITTIMA. È irragionevole attenuare la colpa del carnefice solo perché la vittima indossa una minigonna o non accetta le avance o, semplicemente, si difende dalle accuse infondate di chi si trova di fronte. Tante donne hanno subito violenza ed ora non ci sono più. Ed è per loro che noi oggi dobbiamo combattere questa guerra, perché in ogni luogo, in ogni famiglia, sui posti di lavoro, ci sono donne che subiscono violenze, di cui non si sa nulla. 
Oggi posso dire di avercela fatta ed è stato, soprattutto, grazie alla forza, al coraggio e alla determinazione che ho trovato in me stessa per il tuo bene. Col tempo ho capito che il suo non era odio, cattiveria, ma era semplicemente incapacità, incapacità di amare, di fidarsi, di essere felice e, da questa mia vita, perfetta nella sua totale imperfezione, ho imparato che l'unica cosa che può salvarti e renderti felice è l'amore. Ama, piccola mia, ama follemente, non avere paura di non farcela, di non essere all'altezza, ama e non smettere mai, perché l'amore è una droga, crea dipendenza e fa male, l'amore distrugge lentamente, l'amore uccide costantemente, ma l'amore, figlia mia, è l'unica cosa che ti tiene sempre in vita. Ti auguro perciò di essere fortunata in questa vita e di avere la possibilità di incontrare un uomo che ti ami e che ti apprezzi così come sei, di non farti ingannare da troppe smancerie e di riuscire a riconoscere l’amore, quello vero, che non ti punisce, non ti causa sofferenza, non ti uccide... ma ti difende e ti ama, ti ama veramente.


Maria Cristiano
Teresa Cecoro, VZ

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