venerdì 27 gennaio 2017

Dolore di un soldato



"Su, su, svegliatevi. Tra pochi minuti è previsto l'incontro in piazza! Alzatevi. Avete un minuto per rifarvi il letto."
Apro gli occhi, stordito e un po’ deluso da quello che credevo fosse la realtà ma, invece, era un bellissimo sogno. "Mi aspetta una dura giornata, ne sono sicuro ," penso tra me e me. "Chissà a quale strana esercitazione ci sottoporranno...". Indosso la divisa e rifaccio il letto in un lampo. Mi accodo ai miei compagni ed uno di loro mi dice, in tono scherzoso: " Eh! Stanotte hai sognato di nuovo Clarissa?". Sorrido, imbarazzato. Spero passi in fretta questo interminabile anno, vorrei rivederla. La visione delle sue mani sulla mia pelle viene bruscamente interrotta dalla voce del comandante :" Tu", indicandomi, "domani parti. Terezin, Praga. Servono uomini nei campi di concentramento per gestire quei luridi ebrei." Fatico a crederci. "Io? Perchè proprio io?... Non avevo mai immaginato di poter...insomma...che mi toccherà fare?" Mentre rifletto su ciò che mi accade, il comandante sceglie altri uomini per la partenza immediata, tra cui, Otto, un tipo silenzioso che ha il letto accanto al mio. Decido di non fare polemiche, anche perchè non sono nella posizione adatta. "Resterò poco tempo" pensavo, "mi daranno compiti facili da eseguire. Non sarà così male". Dallo scoppio della guerra mi ero tagliato quel piccolo angolo di paradiso che mi permetteva di restarmene beato nella mia, quasi, ignoranza. Beh... non proprio. Sapevo cosa stesse succedendo, ma non avevano mai permesso che noi, inesperti, prendessimo parte a qualcosa di così...grande.... Insomma, ero stato costretto da mia madre a intraprendere la vita militare, dopo la scomparsa di mio padre. "Hai solo 19 anni, ma sei già un grande uomo" mi ripeteva lei. Vari pensieri vagavano nella mia testa, mentre preparavo l'occorrente per la partenza. "Un campo di concentramento...Dio... non ne ho mai visto uno. Perchè toccava proprio a me?... Devo solo cercare di dormire, ora." E mentre mi perdo nei miei pensieri, cado in un profondo sonno.
Guardo l'orologio: 5.30, indosso l'uniforme e sono pronto. Il viaggio è estenuante. Dopo circa due ore, siamo arrivati a destinanzione. Avanti a me... la desolazione. Ci sono corpi senza vita che giacciono al suolo, sangue e due soldati. "Siete quelli nuovi?" " Sì", rispondo sconcertato. "Venite andiamo a divertirci un po". Nel campo di concentramento ci sono uomini, donne e bambini ebrei... nudi, rasati, spenti, sconfitti, esausti, senza speranze. Gli occhi delle donne non hanno luce, come quelli di mia madre quando perse suo marito. I bambini più piccoli sono arrabbiati, vogliono giocare a palla. I più grandi sono tristi, ma trovano un po’ di svago in qualsiasi cosa. Infatti appena arrivati, hanno preso in giro Otto. I soldati ci ordinano di radunare un gruppo di uomini e portarli lì. Eseguiamo l'ordine. Una volta portati al centro del campo, vedo un soldato impugnare il fucile e aprire il fuoco, su tutti... con il sorriso di chi ha appena compiuto un gesto utile per l'umanità, il sorriso di un vincitore, di un capo, di un uomo che cerca di affermare la sua supremazia. Ancora tanti corpi cadono a terra, uomini e donne si stringono la mano nella speranza di potersi ritrovare allo stesso modo in un posto migliore di quello. Sono passate due ore da quella scena raccapricciante ma non riesco a dimenticare il sussulto degli uomini che, con gli occhi chiusi, aspettavano di essere colpiti, in modo veloce, senza provare più dolore di quanto ne stessero già provando a stare lì, chiusi in gabbia.
E' sera e i soldati mi hanno invitato a partecipare ad uno spettacolo che solo lì era concesso ai deportati. Uno dei soldati mi dice: " Inizialmente non gli era concesso, ma non sono tanto male. Implorano pietà." Le parole di quella canzone sono molto chiare, per me, stanno implorando Dio di essere salvati.
"La musica è uno strumento di ribellione, capisci?" spiego a Otto. Lui mi ignora e ascolta compiaciuto quel tono cosi drammatico ed estenuante, troppo estenuante, tanto che decido di andare a letto. Il giorno dopo, le urla degli uomini mi fanno sobbalzare. "Porta questi babbei nelle docce". Eseguo gli ordini del mio superiore. Poco dopo, un bambino mi si avvicina, e sorridendo : "Mi avevano promesso un pallone", mentre sto per rispondergli, sento di nuovo le urla forti, struggenti, disperate e una forte puzza di bruciato. I soldati, di nuovo compiaciuti, mi guardano aspettandosi un'espressione altrettanto compiaciuta... ma tutto questo mi distrugge. Ripenso a mia madre, a Clarissa, alla pace, alla serenità, concetti troppo lontani qui e ora. Il soldato mi ordina di disfarmi di un gruppo di uomini. Io sono titubante e confuso. Guardo i bambini in lontananza che sperano e aspettano: cibo, acqua, un pallone, aspettano la vita fuori di qui. Il soldato, più forte, mi ordina di eseguire quel comando impostomi. Impugno il fucile con fermezza, lo punto verso quegli uomini che ormai aspettavano solo di morire, aspettavano un perdono, aspettavano la liberazione. La voce del soldato si fa sempre più forte e i suoi ordini sono chiari. Abbasso lo sguardo, punto il fucile al mio petto, in un attimo chiudo gli occhi e... .

"E' massacrante vivere una vita così, una vita di guerra, una vita di morte. Non so se ho preso la decisione giusta; non so dove mi trovo, ma spero, che un giorno tutto questo possa essere ricordato come un brutto sogno. Un sogno che non deve mai più vivere nella mente degli uomini se non per ricordare  quanto sia struggente la mancanza di libertà e fino a dove un semplice essere umano possa arrivare."
Per non dimenticare.


Rosalia Di Lauro.

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