Inutile dire
che sono emozionato e lusingato di dare il mio modesto contributo partecipando
a un evento come questo che ci vede qui riuniti. Triste data, quale quella del
19 marzo, data che va doverosamente commemorata.
La scorsa volta, in occasione del cineforum organizzato dal nostro liceo al
teatro della legalità a Casal di Principe, ho fatto un piccolo discorso citando
Borsellino. Oggi invece mi preme fare un discorso civico e sociale in quanto le
vittime della mafia che stiamo commemorando sono quelle persone che si sono
rifiutate di accettare il compromesso, di calpestare i principi etici e
costituzionali, gli unici atti a garantire la libertà e la giustizia per tutti
i cittadini. Proprio sul termine “giustizia” vorrei soffermarmi; la giustizia
dei “giusti”. Chi sono i giusti? I giusti sono diventati, purtroppo, i
cosiddetti “eroi”: Don Giuseppe Diana e tutti gli altri che sono stati uccisi
perché vivevano troppo giustamente facendo il proprio dovere. Se la giustizia,
la condivisione, la vera libertà e quindi la partecipazione fossero i pilastri
solidi della nostra società, noi non avremmo bisogno di organizzare questi
eventi e di essere informati su simili episodi di estrema gravità
. Questa passeggiata che ci ha visto attraversare la nostra terra potremmo un po’ vederla rispecchiata nel titolo film che abbiamo guardato la scorsa volta: I cento passi. Ebbene sì, facciamo passi per cambiare ciò che ci circonda; passi per formarci con lo scopo di diventare persone giuste; passi per liberarci dal marchio del tacito assenso che soffoca il coraggio; passi per dire no alle mafie. Una marcia, quindi, per renderci “indifferenti all’indifferentismo’’ che regna sovrano nella nostra terra: mi torna in mente, a tale proposito, un aneddoto raccontato da Calamandrei che parla di un marinaio avvisato dell’inevitabile affondamento di una barca. Il marinaio, quasi sorpreso della preoccupazione del compagno, afferma: “E che mi frega, mica è mia”. Questo per sottolineare la permanenza dell’indifferentismo tanto attaccato dal nostro Calamandrei nella società. Sono qui anche per dire la mia su quello che penso si possa fare, o meglio si de debba fare. Ci si definisce liberi, ma fino a che punto? Liberi di poter esprimere un’opinione non fondata? Sì. Ci può anche stare. Ma per “libertà” cantanti come Gaber, Battiato, Jovanotti, che di sicuro noi tutti conosciamo intendono il condividere, il saper scegliere, il denunciare. “Libertà non è star sopra un albero, libertà è partecipazione’’. Ecco, non è star sopra un albero ad aspettare che arrivi la primavera, anzi, è scendere dall’albero e costruire una primavera costante, non temporanea. Impossibile non citare un pezzo della canzone di Battiato “Povera patria”:
. Questa passeggiata che ci ha visto attraversare la nostra terra potremmo un po’ vederla rispecchiata nel titolo film che abbiamo guardato la scorsa volta: I cento passi. Ebbene sì, facciamo passi per cambiare ciò che ci circonda; passi per formarci con lo scopo di diventare persone giuste; passi per liberarci dal marchio del tacito assenso che soffoca il coraggio; passi per dire no alle mafie. Una marcia, quindi, per renderci “indifferenti all’indifferentismo’’ che regna sovrano nella nostra terra: mi torna in mente, a tale proposito, un aneddoto raccontato da Calamandrei che parla di un marinaio avvisato dell’inevitabile affondamento di una barca. Il marinaio, quasi sorpreso della preoccupazione del compagno, afferma: “E che mi frega, mica è mia”. Questo per sottolineare la permanenza dell’indifferentismo tanto attaccato dal nostro Calamandrei nella società. Sono qui anche per dire la mia su quello che penso si possa fare, o meglio si de debba fare. Ci si definisce liberi, ma fino a che punto? Liberi di poter esprimere un’opinione non fondata? Sì. Ci può anche stare. Ma per “libertà” cantanti come Gaber, Battiato, Jovanotti, che di sicuro noi tutti conosciamo intendono il condividere, il saper scegliere, il denunciare. “Libertà non è star sopra un albero, libertà è partecipazione’’. Ecco, non è star sopra un albero ad aspettare che arrivi la primavera, anzi, è scendere dall’albero e costruire una primavera costante, non temporanea. Impossibile non citare un pezzo della canzone di Battiato “Povera patria”:
Questo paese è devastato dal dolore...
ma non vi danno un po' di dispiacere
quei corpi in terra senza più calore?
Non cambierà, non cambierà
no cambierà, forse cambierà.
Non cambierà, non cambierà
si che cambierà, vedrai che cambierà.
La cosa che trovo più
assurda è il fatto che l'indifferenza, e mi viene in mente il magnifico
manifesto Gramsciano "Odio gli indifferenti", in qualche modo affine
al discorso citato di Calamandrei, viene spesso superata dalla vergognosa
volontà di infangare proprio i difensori del VERO. E’ una semplice modalità,
direi quasi una metodica, la diffamazione, non solo per scrollarsi tutto dalle
spalle, ma per sentirsi da sporchi nelle vesti di puliti. Si è abituati a
screditare chi lotta contro la mafia, coloro che sono i modelli morali da seguire.
Modelli che hanno semplicemente rispettato la Costituzione, la grande signora
citata da Calamandrei. Ricordiamo le sue belle parole, secondo cui essa non è
un semplice pezzo di carta, ma una macchina la quale ha bisogno di
combustibile. Ecco, il carburante siamo noi, o meglio sono le persone che si
attivano per la pulizia! “La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute
paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella
società campana”, ci diceva don Diana. Aiutiamoci gli uni gli altri unendo le
forze e attivandoci affinché essa respiri e viva attraverso di noi, attraverso
i nostri gesti civili, responsabili, "NORMALI" per chi normale
cittadino si ritiene di essere. Mobilitiamoci coscientemente e fisicamente per
distruggere la camorra, perché la camorra è una montagna di merda!
Gianluca della Corte, III B
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