Il giorno del ricordo
La storia del confine orientale italiano e le sorti degli italiani gettati nelle foibe è una delle pagine più controverse e dolorose della storia italiana.
Nelle foibe, le profonde voragini rocciose presenti nel territorio goriziano e triestino, si ritrovarono centinaia e centinaia di corpi senza vita, che testimoniano la violenza e il non rispetto della dignità umana proprie di una guerra. Di qualsiasi guerra.
È a partire dall’armistizio dell’8 settembre 1943 che esplodono le prime ondate di feroce violenza. Centinaia di italiani vennero massacrati e gettati nelle cavità carsiche, ma sarà nel 1945 che la violenza assumerà livelli decisamente maggiori.
Le motivazioni dell’odio e della contrapposizione etnica che stanno alla base della tragedia delle foibe si possono rintracciare nella vicenda che riguarda il confine orientale del nostro Paese. Si deve risalire al 1915, data in cui venne stipulato il Patto di Londra con cui il governo italiano si assunse l’obbligo, con la Triplice Alleanza, di entrare in guerra contro gli Imperi Centrali nella Prima Guerra Mondiale. In cambio di tale promessa, l’Italia avrebbe ottenuto alcuni compensi territoriali, tra cui l'intera Istria fino al Quarnaro, Trieste e la Dalmazia settentrionale comprese le isole. Per quanto riguarda la città di Fiume, invece, popolata per la maggior parte da italiani, non era inclusa tra i possedimenti promessi; inoltre il trattato ne prevedeva la naturalizzazione.
Al termine della Prima Guerra Mondiale l’Italia ottenne solo una parte dei territori promessi dal Patto di Londra: non ottenne la Dalmazia, ma solo la città di Zara e alcune isole, e rimase aperta la questione di Fiume di cui l’Italia rivendicava l’annessione sulla base del principio di autodeterminazione. Solo nel 1924 si arrivò all’annessione di Fiume all’Italia.
La presenza di numerose minoranze etniche slovene e croate iniziò presto a causare tensioni che in poco tempo iniziarono ad alimentare rivendicazioni di autonomia culturale prima, e di distacco territoriale poi, da parte delle stesse minoranze.
Le tensioni sfociarono in vera e propria violenza, come già evidenziato, a seguito dell’armistizio dell’8 settembre ’43. Venne proclamata unilateralmente l’annessione di Istria alla Croazia e iniziarono le rappresaglie nei confronti di oppositori politici e della comunità italiana. Centinaia di persone vennero torturate e uccise e i loro corpi gettati nelle foibe.
Le voragini carsiche, profonde anche fino a 200 metri, venivano usate, infatti, per occultare i cadaveri di chi si opponeva alle politiche del Partito Comunista Jugoslavo di Tito. In alcuni casi furono precipitate nell'abisso persone non ancora decedute, ma solo ferite. Questo procedimento divenne, nella cultura popolare, il metodo di esecuzione per eccellenza ed un simbolo del massacro. Tuttavia, molti furono gli italiani e i dissidenti politici che furono deportati nei campi di concentramento jugoslavi dove molti vennero uccisi o morirono per le atroci condizioni di vita.
Nel maggio del '45 la IV armata di Tito entrò nella città di Trieste e poi a Gorizia. L'ondata di violenze finì nel giugno 1945, quando Tito e il generale Alexander tracciarono la linea di demarcazione Morgan, che prevedeva due zone di occupazione, la A e la B, dei territori goriziano e triestino. La persecuzione degli italiani, però, durò almeno fino al '47, soprattutto nella parte dell'Istria più vicina al confine e sottoposta all'amministrazione provvisoria jugoslava.
Con la firma del trattato di pace del ’47 si decise, dunque, la prima spartizione dell’Istria, ma si dovrà aspettare il Trattato di Osimo, del 10 novembre 1975, per avere la definitiva cessione della Zona B di Trieste, ovvero la parte nord occidentale dell’Istria, alla Jugoslavia.
Conservare la memoria di una tragedia non significa semplicemente ricordare un evento. Tenere viva la memoria del passato serve per capire, per continuare a farsi domande e cercare di rispondere con i fatti, nella vita di tutti i giorni. Non basta ricordare che l’intolleranza tra popoli non giustifica nessuna guerra, ma è necessario ogni giorno ricordarsi che chi è diverso da noi non è un nemico, ma un essere umano.
Lavoro svolto da:
Agnese Aversano,
Mariateresa Letizia,
Iolanda Anna Romano,
Rachele Di Rosa,
Rita Schiavone,
Rosaria Di Bona;
1^Z.
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