venerdì 27 ottobre 2017

Recensione "L'ombra del vento" - Carlos Ruiz Zafòn

Tutto ha inizio a Barcellona, una mattina d’estate del 1945, quando un bambino di dieci anni, Daniel Sempere, scopre di non ricordare più il volto della madre, morta di colera sei anni prima.
Da allora, Daniel scopre il cimitero dei libri dimenticati, un luogo dove sono custoditi i libri che ormai non legge più nessuno.
Da allora, Daniel adotta un libro, che dovrà custodire anche al costo della vita, un libro che gli permetterà di svelare il grande segreto che gira intorno alla vita del suo autore, Juliàn Carax; un libro che sarà la sua salvezza e la sua rovina: “L’ombra del vento”.
La vita del protagonista si intreccia con quella dell’autore
del romanzo, in un gioco di specchi che svelerà inquietanti parallelismi. Una città, Barcellona, quanto mai oscura e sinistra, un labirinto degli spiriti che nasconde i segreti più insospettabili, ancora all’ombra della Guerra Civil. Due storie, così diverse eppure così simili, che rischiano di avere lo stesso, tragico epilogo. Un mistero, che una volta risolto aiuterà Daniel ad imparare dagli errori di Carax. Fantasmi dal passato richiamati al presente da un ragazzo che non ha idea della pericolosità delle sue indagini. E quando lo capisce, potrebbe essere troppo tardi.
Una storia, quella de “L’ombra del vento”, incentrata completamente sui libri. È un libro il vero protagonista del romanzo, un libro che dà inizio a tutto. Ma Daniel in mezzo ai libri ci è cresciuto. È sempre stato a contatto con loro, nella libreria del padre, in Calle Santa Ana; il suo amore per loro, quindi, è nato con lui. Mentre cammina nel grandissimo labirinto di scaffali nel cimitero dei libri dimenticati, per “adottare” il suo libro, questi sono descritti come viventi, in un certo senso. Tra tutti quei libri, non è Daniel a scegliere “L’ombra del vento”, è “L’ombra del vento” a scegliere Daniel. È una decisione istantanea, come se quel libro lo stesse aspettando da prima che lui nascesse.
Tra amori travolgenti e amicizie finite, tra assassini e assassinati, Carlos Ruiz Zafòn si rivela molto abile nello snodarsi in questa trama complicata quanto appassionante. Non c’è nulla di banale, nulla di già letto; ogni pagina di questo romanzo svela un segreto e ne cela un altro, incuriosendo il lettore dall’inizio alla fine. È la seconda volta, dopo un paio d’anni, che leggo questo romanzo, eppure è stato come leggerlo per la prima volta. Forse per la trama così complessa, forse per la velocità con cui l’ho letto la prima volta, non avevo conservato alcun ricordo dei particolari della storia, eppure ricordavo perfettamente le emozioni che questo libro mi aveva fatto provare; emozioni che ora ho rivissuto, per la seconda volta. “L’ombra del vento” mi ha fatto appassionare all’autore, del quale ho letto anche le altre opere, godendomele una per una. Ma il ciclo del cimitero dei libri dimenticati, e in particolare “L’ombra del vento”, resta il mio preferito.
“Mi abbandonai a quell’incantesimo fino a quando la brezza dell’alba lambì i vetri della finestra e i miei occhi affaticati si posarono sull’ultima pagina. Solo allora mi sdraiai sul letto, il libro appoggiato sul petto, e ascoltai i suoni della città addormentata posarsi sui tetti screziati di porpora. Il sonno e la stanchezza bussavano alla porta, ma io resistetti. Non volevo abbandonare la magia di quella storia né, per il momento, dire addio ai suoi protagonisti. Un giorno sentii dire a un cliente della libreria che poche cose impressionano un lettore quanto il primo libro capace di toccargli davvero il cuore. L’eco di parole che crediamo dimenticate ci accompagna per tutta la vita ed erige nella nostra memoria un palazzo al quale – non importa quanti libri leggeremo, quanti mondi scopriremo, quante cose apprenderemo o dimenticheremo – prima o poi faremo ritorno.”

(Carlos Ruiz Zafòn, L’ombra del vento, Arnoldo Mondadori Editore, 2004)
Alessandra Iorio VZ

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